Le insidie nascoste del bonus barriere architettoniche nel caso di piattaforme elevatrici


La legge di bilancio 2022 (n. 234/2021) ha istituito il cosiddetto bonus “ascensori” per il superamento delle barriere architettoniche negli edifici esistenti.

Il bonus, come altri già visti, consiste in un credito d’imposta pari al 75% della spesa sostenuta.

Esso può anche essere convertito in uno sconto in fattura di pari valore, cedendo il credito alla ditta che esegue i lavori.

Questo bonus può essere fruito per l’installazione di  nuovi ascensori, piattaforme elevatrici, servoscala e altri elementi edilizi o di automazione che consentano l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Può essere utilizzato anche nel caso di rifacimento dell’impianto elevatore, nel qual caso copre anche le spese necessarie allo smontaggio e smaltimento dell’impianto esistente.

La legge di bilancio è stata molto chiara in merito a come discriminare se l’intervento si configura come abbattimento delle barriere architettoniche o no.

Infatti, l’installazione di un nuovo impianto elevatore è da considerarsi finalizzato all’abbattimento delle barriere architettoniche solo se l’impianto è conforme al DM 236/89, che definisce i requisiti tecnici minimi che devono possedere gli impianti destinati all’uso da parte di persone disabili.

Il DM 236/89, tra le altre cose, consente l’impiego delle piattaforme elevatrici come strumento alternativo agli ascensori, ma solo per dislivelli “di norma” non superiori ai quattro metri.

Proprio questo breve trafiletto del decreto nasconde un’insidia grave per chi volesse usufruire del bonus.

Per capire bene il problema è necessario focalizzare il fatto che nel momento in cui il DM 236/89 è stato scritto (il 1989 appunto) le piattaforme elevatrici erano macchine piuttosto grezze.

Erano infatti costituite spesso da una pedana priva di pareti e di porte, dotata di una sponda laterale che serviva da supporto ai comandi e che si muoveva all’interno del vano di corsa.

Si trattava quindi di elevatori molto semplici ed economici, ben lontani dal concetto di ascensore propriamente detto, per i quali non esisteva uno specifico riferimento normativo.

Oggi però le cose sono molto diverse rispetto ad allora. Le piattaforme elevatrici si sono evolute moltissimo, fino ad essere praticamente indistinguibili dagli ascensori se non per la velocità.

Infatti, le piattaforme elevatrici non possono superare la velocità di 0.15 m/s

Quindi oggi abbiamo piattaforme elevatrici dotate di vere e proprie cabine, con comandi e porte automatici ed in grado di superare dislivelli anche notevoli, seppur con velocità limitata.

Alla luce di quanto fin qui visto è abbastanza normale oggi pensare di utilizzare una piattaforma elevatrice per superare dislivelli che superano ampiamente i quattro metri posti come limite dal DM 236/89.

I motivi per utilizzare questo tipo di soluzione possono essere di tipo economico, ma anche legati all’impossibilità di realizzare gli spazi di sicurezza richiesti per gli ascensori agli estremi della corsa, sia per ragioni tecniche che di vincolo.

Una piattaforma con corsa superiore ai quattro metri si può considerare ancora conforme al DM 236/89?

Una interpretazione alla lettera del decreto potrebbe portare anche a rispondere negativamente al quesito.

Il risultato di ciò sarebbe di vedersi negata la concessione del beneficio legato al credito di imposta e di dover pagare per intero l’importo dei lavori di installazione dell’impianto (cosa che pare sia già accaduta in alcuni casi).

Ma allora che fare?

Ci viene in aiuto in questo caso l’articolo 7.5 del DM 236/89 che dice: “Negli interventi di ristrutturazione, fermo restando il rispetto dell’art.1, comma 3 della legge, sono ammesse deroghe alle norme del presente decreto in caso di dimostrata impossibilità tecnica connessa agli elementi strutturali ed impiantistici. (…).”

Lo stesso articolo 7.5 del decreto definisce anche chi deve concedere la deroga: “Le suddette deroghe sono concesse dal sindaco in sede di provvedimento autorizzativo previo parere favorevole dell’Ufficio Tecnico o del Tecnico incaricato dal Comune per l’istruttoria dei progetti”.

La richiesta di deroga deve essere presentata da tecnici qualificati.

I motivi alla base della richiesta devono essere puntualmente circostanziati e documentati attraverso una relazione tecnica e degli elaborati grafici.

La concessione della deroga da parte del sindaco mette quindi al riparo da ogni possibile contestazione futura e deve essere ovviamente preliminare all’avvio dei lavori.